Il desiderio di maternità è un lusso che sempre più donne non possono permettersi, pena la perdita del posto di lavoro. Questa situazione drammatica e ingiusta viene denunciata dall’ Istat nel suo rapporto annuale. Basta pensare che quasi un milione di donne sono state licenziate o costrette a dimettersi per essersi macchiate della grave colpa di aver deciso di diventare madri. Altri dati assai interessanti svelano che cosa significhi essere mamme in Italia. Una su tre ha dovuto abbandonare il lavoro per motivi familiari, nella metà dei casi per la nascita di un figlio, per un totale di oltre 800mila donne. Tra le donne con meno di 65 anni, una su cinque fra quelle che lavorano, ha dovuto lasciare il lavoro per il matrimonio, la gravidanza o per altri motivi familiari. Numeri impietosi che dimostrano come nel nostro Paese figlio e lavoro sono ancora troppo spesso inconciliabili. Queste donne, infatti, non hanno scelto liberamente di non lavorare, ma sono state costrette come evidenzia l’ Istat. Le donne più anziane sono meno esposte a rischi. Ad essere maggiormente colpite dalle interruzioni imposte dal datore di lavoro sono, infatti, le donne più giovani: si passa dal 6,8% delle donne nate tra il 1944 e il 1953 al 13,1% di quelle nate dopo il 1973. Per queste ultime generazioni, si legge nel rapporto, “le dimissioni in bianco quasi si sovrappongono al totale delle interruzioni a seguito della nascita di un figlio”. Una volta perso il lavoro, spesso non lo si trova più. “Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro – afferma l’ Istat – ha poi ripreso l’ attività, ma con valori diversi nel Paese: una su due al Nord e soltanto poco più di una su cinque nel Mezzogiorno”. Eppure le donne costituiscono le fondamenta del Welfare. Infatti, sulle loro spalle, grava il carico maggiore della rete d’ aiuto familiare indispensabile per l’ economia e la società. Ma “questo sistema è in crisi strutturale – sostiene l’ Istat – le donne non reggono più e non può essere più questo il modello che sostiene il Welfare italiano”. In un anno prestano “2,1 miliardi di ore d’ aiuto a componenti di altre famiglie, pari ai due terzi del totale erogato”. Eppure la situazione sta cambiando senza che nessuno prenda il loro posto. Ciò significa che “la catena di solidarietà femminile tra madri e figlie – conclude l’ Istat – su cui si è fondata la rete d’ aiuto informale, rischia di spezzarsi. Le donne occupate con figli sono sovraccariche per il lavoro di cura all’ interno della famiglia e le nonne sono sempre più schiacciate tra cura dei nipoti, dei genitori anziani non autosufficienti e dei figli adulti”. Nel 2010, l’ occupazione femminile resta stabile, ma peggiora la qualità del lavoro e soprattutto spicca la disparità salariale rispetto agli uomini, il 20% in meno. In calo di 170mila unità l’ occupazione qualificata, tecnica e operaia, mentre è in aumento di 108mila unità quella non qualificata. Trattasi, soprattutto, di “italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere”. Da segnalare l’ aumento del part-time (+104mila unità rispetto a un anno prima), che costituisce un elemento di peggioramento. Crescita “quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attività tradizionali” (commercio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che comportano orari di lavoro che mal si adattano ai tempi di vita di una famiglia. Non si capisce come mai il part-time è molto più diffuso tra le donne, il 14,3% contro il 9,3% degli uomini. Forte preoccupazione genera la crescita delle donne sovraistruite, ossia quelle con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta. Il fenomeno della sovraistruzione, fra le laureate, riguarda il 40% delle occupate contro il 31% tra gli uomini, e comprende tutto il ciclo della vita lavorativa Del numero dei dibattiti e delle tavole rotonde sui diritti delle donne, in Italia, si è perso il conto. Anche i nostri politici non perdono l’ occasione per strumentalizzare il problema, ed esiste un Ministero per le Pari Opportunità. Ma i dati sopra elencati suonano come una condanna per chi ha responsabilità di governo a tutti i livelli. Un Paese che non garantisce il diritto a creare nuova vita è un Paese senza futuro e destinato all’ autoestinzione. (Foto e immagini da Google.it)