Fare entrare nella vita e nelle sue vicende la visuale spirituale,non disturba per nulla le terrene vicende personali,sociali,culturali,politiche, perché lo spirituale non è in antagonismo col benessere terreno,anzi aiuta a sublimarlo e spiritualizzarlo,cioè ,valorizzarlo presso Dio. Il comportamento spirituale è difficile? La deontologia medica,come quella di ogni professione,è basata su regolamenti,leggi,ipotesi, tecniche..., spesse volte non ben chiare ed in opposizione fra loro. La deontologia (chiamiamola così) spirituale è molto semplice perché basata,essenzialmente,su di un solo parametro:la fede (coscienza). La fede,come l'amore,il rispetto,l'onestà...,non è materia di studio o di tecnologia,ma dipende dalle facoltà naturali della persona umana:libera volontà,intenzione,convinzione personale. Per di più,la fede non è in relazione agli uomini o ad altre realtà terrene,ma è un'intima e personale disposizione verso le realtà spirituali: Dio, Aldilà... Quale fede?Personalmente, essendo convinto che l'uomo,soprattutto se è onesto è guidato da Dio, direi che è l'individuo stesso che sceglie la fede che è più in corrispondenza della sua cultura e gli dà maggiore serenità. Eutanasia attiva e passiva. La legge della vita non permette l'eutanasia attiva,cioè quella intenzionalmente finalizzata alla morte. L'eutanasia passiva,cioè quella finalizzata ad eliminare il dolore fisico e, per quanto possibile, quello psichico, in genere, è religiosamente lecita. Questo è basato sul concetto di causa a doppio effetto. Penso però che debba essere l'ammalato stesso a farne richiesta e dettarne le regole che devono essere,preferibilmente, di natura religiosa:evitare la disperazione o atteggiamenti di rivolta contro Dio,la vita,il prossimo. Dire la verità? Dipende dalla sensibilità dell'ammalato e soprattutto dal suo livello spirituale. Non è la verità in sé stessa che spaventa o offende,ma il modo di farlo e la più o meno preparazione che l'individuo ha nel recepirla. La serenità dell'ammalato di fronte alla morte è direttamente proporzionata al suo livello spirituale ed inversamente alla sua "terrenità",cioè all'attaccamento alle cose terrene compresa la vita. Per quanto possibile favorirei il dire la verità. Del resto Dio,che è verità,è il prototipo del comportamento religioso, e direi anche "ratio-affettivo" dell'uomo. Semmai, di fronte a certe verità inevitabili,penso sia più dignitoso e positivo per l'uomo,il formarsi una convinzione, e di conseguenza un carattere forte sì da prevenirle,affrontarle e superarle, anziché autoingannarsi e doverle poi subire impreparati. Che cosa fare quando terrenamente non c'è più nulla da fare? Di fronte all'impotenza,c'è soltanto più da scegliere una delle tre alternative:fatalismo, disperazione,fede. Non penso che il fatalismo,peggio ancora la disperazione,siano in consonanza con le esigenze razionali ed emotive dell'uomo. La speranza (fede) nella sopravvivenza della Vita,non porta nessun negativo,anzi è in piena consonanza con la razionalità e l'emotività dell'uomo. Anche nel caso (più ipotetico che reale) che la speranza sia una pia illusione,ha pur sempre il potere di temperare la sofferenza di un cuore che testardamente,non vuole morire. Una quarta alternativa potrebbe essere la convinzione che gli uomini passano sì, ma la storia rimane,per cui si ha la speranza (o anche la certezza) di essere poi commemorati. Penso però che questo sia puro idealismo che,oltre alla intrinseca irrazionalità (che cos'è la storia?) non sia sufficiente a soddisfare le esigenze umane. Comunque, l'uomo è un mistero. Ed è un mistero appunto perché è dotato di realtà (intelligenza,libertà) che vanno al di là di ogni consuetudine terrena. Ma, non è proprio in questo mistero che sta l'esigenza razionale dell'immortalità