> GianGiacomo Pisu >> " /> > GianGiacomo Pisu >> " /> > GianGiacomo Pisu >> newcitizenpress.com Testata giornalistica telematica di cultura, spettacolo, sport, cinema, attualitŕ e politica " />
A Bitti troviamo un sito straordinario, chiamato “Su Romanzesu”. Ne parlai con Padre Nicola Manca, che condivise molto gioiosamente il suo pensiero di Sardo e di amante del Dio della Vita. E mi raccontò quanto segue: “Siamo nell’altopiano di Bitti. In linea d’aria, solo un paio di dozzine di chilometri dal mare di Orosei. Si ha la sensazione di trovarsi in alta montagna. Le querce e i lecci secolari, fanno capire al visitatore di essere un ospite ben accetto se (come le piante, gli sparvieri che volano in alto nel cielo, il lontano muflone arrampicato sullo sperone di una roccia) sa di essere parte del panorama, non il padrone. Da quando l’uomo ha lasciato la caverna, non ha mai cessato di inseguire un sogno: usare la capacità di superare l’istinto, capacità che gli dà la possibilità di scegliere il meglio, per distanziarsi dagli animali, ed avventurarsi in orizzonti sconosciuti, quelli della civiltà, meglio, gli orizzonti dello Spirito. Penso a quelli che, migliaia di anni or sono, abitavano da queste parti. Ciò che rimane sono i segni millenari delle loro ricerche. Ma quante difficoltà lungo la via, e quante tenebre e dubbi lungo il cammino. Il mistero della vita, presente ovunque, li affascinava. Quanti pastori erranti avranno passato le notti a osservare le taciturne costellazioni? Quanti, nelle giornate di primavera, si saranno soffermati, in questi spazi solitari, ad ascoltare “la vita”. Gli agnelli che belavano, e avevano visto nascere, il vitellino al seguito della madre al pascolo, le verdi spighe di grano, che in ogni chicco racchiudevano una goccia di latte, ricordavano quello che avevano succhiato da bambini. Ma dov 'era la fonte della Vita? Lui stesso, da dove veniva e dove andava? Il Mistero, che da sempre lo assillava, rimaneva avvolto nelle tenebre. Qui venivano i pastori ad abbeverare le loro greggi, e gli agricoltori a dissetarsi, specie nelle giornate afose della mietitura. Qui si scambiavano le notizie e si firmavano alleanze tra famiglie e tribù. Qui si trovava sempre qualche anziano, esperto conoscitore delle tradizioni de “Su connottu”. Su Romanzesu, chiunque poteva trovare un posto adatto per le sue meditazioni, silenzio, pace, templi per accoglierlo, saggi per illuminarlo e dare una risposta ai suoi interrogativi. Mi sembra di sognare, e quindi vedere uno di quei giovani che, stanco della salita ed arrivato all’altopiano, va verso il pozzo dei suoi “ patriarchi”. Il suo era un pellegrinaggio alle fonti, quelle dell’Acqua della Vita. Tutto qui parlava di Dio, meglio, del Dio della Vita, del Padre, come aveva imparato a chiamarlo da quando era in fasce: Sardus Pater come, molti secoli dopo, gli stranieri venuti nell’isola, lo avrebbero chiamato. Durante le feste stagionali si cantava e c’era la musica. I pellegrini, e con loro i bambini, si aggiravano tra queste strutture, e giocavano e scomparivano tra le capanne o dietro i templi a megaron. I fedeli avranno cantato: “Venite, saliamo al monte del Signore, al Tempio del Padre, perchè ci istruisca nelle sue vie e camminiamo nei suoi sentieri. Qui, su questo monte, adorarono i nostri Padri”. Il pozzo di Su Romanzesu era profondo pochi metri. Le pareti costruite con semplici pietre piatte, e la cupola sovrastante “a cesto” (come dicono gli archeologi) aveva del meraviglioso. Gli ingegneri del tempo non conoscevano ancora la malta e neppure l’arco murario, invenzioni che sarebbero arrivate molti secoli dopo. Oggi, questa tecnica è quasi scomparsa. Solo qualche vecchio ne conosce il segreto. Il costruttore, stando ritto al centro del cerchio, soppesa una ad una, con le sue mani piene di calli, ogni pietra, prima di adagiarla nel suo posto, dove rimarrà per millenni, se qualcuno non la sposta.