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Febbraio 2024 - Anno XVII - Numero 1 - Sabato 20 Aprile 2024
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IL RITARDO ITALIANO NEL SOSTEGNO ALLA RICERCA SCIENTIFICA

Una triste realtà tutta italiana

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Ci sono argomenti che qualificano con elevata specificità il livello culturale della società e quello della politica che insieme danno conto della capacità di governo di un Paese, ma che danno anche una precisa indicazione sull’adeguatezza della classe dirigente che ha avuto la responsabilità della guida di una nazione in quel dato periodo storico. Uno di questi argomenti in Italia, ad esempio, è dato dalla posizionamento sociale, dimensionale e qualitativo che complessivamente la ricerca scientifica ha raggiunto nella periodizzazione storica che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi. I più significativi aspetti quantitativi e qualitativi che hanno dato luogo ai risultati conseguenti che questo basilare comparto ha potuto sviluppare nel nostro Paese, si possono rilevare attraverso la lettura dei dati oggettivi provenienti dalle fonti ufficiali e scientifiche italiane ed estere più accreditate. Si tratta di dati non sempre facilmente disponibili o desumibili, che nel nostro Paese in particolare sono alla mercé di una sorta di ritegno innaturale sulla loro divulgazione, un ritegno che altrove non esiste affatto. Tuttavia pur essendo dati quasi sempre riferibili alla situazione rilevata due o tre anni prima dell’analisi, essi permettono comunque di avere un metro di misurazione sufficientemente affidabile perché sia possibile compararli con quelli di altri Paesi, per poi trarne le dovute conclusioni. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha realizzato recentemente un agile data book, dal titolo "Scienza e tecnologia in cifre. Statistiche sulla ricerca e sull'innovazione", che raccoglie i principali indicatori relativi all’impegno italiano e internazionale in ricerca e sviluppo; di seguito un breve riassunto dei dati maggiormente significativi esposti: risorse finanziarie ed umane, pubblicazioni, brevetti, import-export, high-tech, innovazione, ricadute a livello economico e produttivo. "Il sistema scientifico italiano soffre ancora per l’insufficiente livello di stanziamenti", sostiene il dr. Secondo Rolfo, direttore dell’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo (Ceris) del Cnr di Torino: 15.252 milioni di euro complessivi tra comparto pubblico e imprese (dati 2004) pari all’1,1 % del Prodotto interno lordo. Una cifra che colloca l’Italia all’ultimo posto tra i paesi Ocse, Cina e Israele: al primo posto della graduatoria compaiono gli Stati Uniti con 312,5 miliardi di dollari Usa (a parità di potere di acquisto), seguono con 118 il Giappone e la Cina con 94, Germania (59,2) Francia (38,9) e Regno Unito (32,2), Corea (28,3), Canada (20,8). Nel 2004 si segnala comunque un aumento rispetto al 2003 dell’1,2 per cento, dopo una generale diminuzione negli anni novanta. La spesa complessiva per R&S intra-muraria, cioè svolta da imprese private, istituzioni pubbliche e istituzioni non profit al proprio interno, con proprio personale e con proprie attrezzature, nel 2004, è sostenuta per il 47,8 % dalle imprese (7.293 milioni di euro) e per il 32,8 % dalle università (5.004 milioni di euro).” E ancora “Più contenuto il peso delle altre istituzioni pubbliche e del non profit, rispettivamente con il 17,8% e l'1,5% per cento. A livello locale, osservando i dati sulla spesa, al primo posto compare il Nord-ovest con il 36,9 % della spesa complessiva, seguito dal Centro (26,6%), dal Nord-est e dal Mezzogiorno (rispettivamente 18,3% e 18,2 %).” Poi prosegue ”L'investimento in R&S delle imprese è concentrato per più della metà (54,9 %) nel Nord-ovest. Le differenze territoriali si attenuano considerando la spesa per ricerca sostenuta dagli altri settori: il 57,3 per cento dell'attività di ricerca delle istituzioni pubbliche si svolge infatti nell'Italia centrale (in particolare nel Lazio) e il 30,7 per cento di quella universitaria nel Mezzogiorno. Nel 2004, il personale italiano impegnato in attività di ricerca è pari a 164.026 unità a tempo pieno, di cui 72.012 ricercatori, con un aumento dell'1,4 % rispetto all'anno precedente. Confrontando questi numeri con quelli internazionali vediamo gli Stati Uniti al primo posto con circa 1.335 migliaia di ricercatori (in equivalente tempo pieno) e, tra i paesi europei, la Germania con 270,7 mila: cioè quattro volte l'Italia. Paesi di dimensioni molto ridotte, in termini di popolazione, rispetto all'Italia, come Svezia, Finlandia e Paesi Bassi, hanno circa la metà dei nostri ricercatori. Questo rilevante investimento di risorse umane, ma anche finanziarie, nella R&S colloca questi paesi tra i primi posti per spesa e numero di ricercatori rispetto agli occupati. Prendendo in esame il personale di ricerca in rapporto alla forza lavoro, poi, il nostro paese si trova in penultima posizione (0,673%, cioè poco più di "mezzo" ricercatore ogni 1.000 unità di forza lavoro) tra i paesi Ocse ed è seguito solo dalla Cina (0,150), lontanissimo da Finlandia (primo posto con 2,229), Svezia (1,623) Danimarca (1,481) e Giappone (1,349). La distribuzione territoriale del personale addetto alla R&S mette in luce la maggiore concentrazione di addetti nelle regioni del Nord-ovest (32,1%), seguite da quelle del Centro (28,0%) e nel Mezzogiorno (20,6%). A livello di singole regioni, il 18,3% del personale addetto alla R&S si trova nel Lazio; seguono la Lombardia (17,9%) e il Piemonte (11,1%). A fronte dell'aumento del personale registrato a livello nazionale nel 2004, il Piemonte, la Lombardia, il Lazio, le Marche e la Sardegna perdono addetti. Un indicatore particolarmente significativo dei risultati della ricerca (molto vicino all'applicazione pratica) è costituito dai brevetti. In questo campo il nostro Paese ("un popolo d'inventori") non occupa le prime posizioni. Prendendo in esame il totale dei brevetti domandati (presso l'European Patent Office e il Japanese Patent Office) o rilasciati (dal United States Patent and Trademark Office), l'Italia copre l'1,56% del totale, dietro a Stati Uniti (37,56%), Giappone (25,85%), Germania (13,82%), Francia (4,54%), Regno Unito (3,76%), Paesi Bassi (1,94%), Svizzera (1,72%), Corea (1,60%).” Il Prof. Luigi Berlinguer, past-President del Gruppo di lavoro interministeriale per lo sviluppo della cultura scientifica, sostiene che.. “non tutto dipende però, da soli dati strutturali, macroeconomici. Al fondo c’è anche un problema culturale, antropologico, del Paese. Riguarda l’atteggiamento verso le cose. Si sente oggi in atto un affievolimento della sua carica positiva, di ciò che determina spinta, progresso, che favorisce la capacità di problem solving. Lo si deve anche ad una permanente campagna che in fondo è contro la scienza, accusata di inquinare, avvelenare, manipolare. Si fa trapelare un messaggio che dà colpa alla chimica, alla fisica nucleare, alla biologia e genetica, non all’egoismo proprietario che inquina. Molti – non tutti, certo, ma troppi- vedono la scienza come qualcosa di distante, di troppo difficile da comprendere. Spesso si è sospettosi, si ha paura di ciò che non si conosce –non si sa cosa aspettarsi, dove possono portare queste stregonerie. Troppi hanno scarsa fiducia nella scienza, sono in qualche misura riluttanti ad accettare progressi scientifici. C’è chi ancora percepisce lo scienziato come persona strana, addirittura un po’ pazza, chiusa nel proprio mondo. Si arriva a confondere la chimica, lo studio, la ricerca, le scoperte con la speculazione incurante delle conseguenze ecologiche Si pensa che siano la chimica e la genetica, alle quali si deve il miglioramento e la moltiplicazione della produzione, i colpevoli di una smania di profitto, di un cinismo criminale che al contrario abusa della scienza ed avvelena. Si tratta di un atteggiamento non solo italiano. È presente in tutto il mondo, ma da noi è più grave.” La dott.ssa Eleonora Giacomelli del MiUR, commentando i risultati della ricerca scientifica italiana a fine 2005 si è così espressa: “I progetti conclusi e verificati durante il 2005 sono in totale 188 (con un costo complessivo di 495 milioni di euro), finanziati attraverso tre diverse modalità (contributo nella spesa, credito agevolato e contributo in conto interessi). I progetti completati positivamente sono 182, cinque sono stati interrotti e solo 1 si è concluso in maniera negativa. In termini percentuali significa che il 96,8% dei progetti ha avuto esito positivo con un costo complessivo di 473,3 milioni di euro. I Settori Finali di Impiego nei quali si è concentrata l’attività di ricerca finanziata dal MiUR sono stati quelli delle Telecomunicazioni (13 progetti con esito positivo e 73,8 milioni di euro investiti), dell’Informatica (19 progetti e 34,2 milioni di euro), dell’Alimentazione (11 progetti e 32,7 milioni di euro) e della Sanità (11 progetti e 28,9 milioni di euro). Per quel che riguarda i Settori Industriali di Impiego 22 progetti (e 70,1 milioni di euro) hanno interessato il settore dei prodotti e dei processi, 22 progetti (e 50,7 milioni) le macchine operatrici, 23 progetti (e 47,3 milioni) l’automazione e le strumentazioni. Elettronica e meccanica, cui sono state destinate rispettivamente il 20% e il 18% delle risorse erogate, continuano a rappresentare settori strategici all’interno del contesto economico-produttivo italiano, la cui competitività è fondata sull’abilità progettuale delle imprese. Sembra persistere, invece, la crisi dell’Information e Communication Technology (ICT) settore cui è stata destinata una parte minore delle risorse disponibili. L’analisi dei risultati del FAR 2005 inoltre evidenzia che il 52,7% delle attività di ricerca riguarda un livello d’avanguardia, il 42,3% è relativa alla ricerca allineata e il 4,9% alla ricerca di inseguimento. Ciò si può anche desumere dal livello di ricadute brevettali: 58 progetti hanno generato nuovi brevetti. Soddisfacenti possono ritenersi anche le ricadute in termini occupazionali con 80 progetti che hanno dato luogo a nuove assunzioni e 123 progetti che hanno determinato un incremento del numero dei ricercatori. Il prof. Luigi Berlinguer conclude con queste condivisibili constatazioni di fatto.” La scienza è cultura universale, al pari del resto del sapere. Come dice Boncinelli, occorre: “esportare nella cultura di tutti i giorni, nelle convinzioni della gente qualsiasi, nel modo di parlare e vedere il mondo, le acquisizioni delle scoperte scientifiche”. Veronesi parla di “provocare una diffusa percezione positiva da parte della popolazione del grande significato civilizzatore della scienza”. Noi diciamo che la cultura scientifica deve diventare mentalità, senso comune, modo di ragionare, concetti assimilati. A monte occorre che il paese investa nella ricerca, madre dell’innovazione, della crescita, del progresso. Occorre che ricerca e istruzione diventino una priorità, la priorità del paese. Non priorità predicata. Non ce ne facciamo niente. Priorità praticata è dimostrata innanzitutto dalla priorità del bilancio pubblico. Pagata in euro. La ricerca, la cultura scientifica costano. Richiedono scelte. Ora. Presto. Alle forze politiche che abbiamo invitato qui, al CNR (quale luogo poteva essere più significativo!) chiediamo: ci credete? Sono le vostre priorità? Praticabili? Si riuscirà a farle prevalere? Anche al di là della legittima dialettica politica? Diffondere la cultura scientifica, sostenere la ricerca costituirebbe – se fossero praticate – un’inversione di tendenza. Non un continuismo sostanziale con un passato da cambiare, ma una novità. Possiamo sperarci, contarci? Possono contarci i nostri figli, i cittadini? Malgrado questo accorato appello, unito ad una moltitudine di altri alti richiami indirizzati alla politica, dal 2004 ad oggi i fondi che i Governi in carica hanno destinato sia direttamente che indirettamente alla ricerca scientifica nel nostro Paese lo hanno lasciato sempre agli ultimi posti fra i Paesi più industrializzati.

(immagine tratta da Google)




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    Maurizio Mori - newcitizenpress.com - 15/10/2010


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