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Febbraio 2024 - Anno XVII - Numero 1 - Sabato 20 Aprile 2024
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Politica ed Economia >>

Sousa Mendes: lo sconosciuto Shindler di Bordeaux

Un uomo giusto, esempio per tutti, soprattutto per chi si definisce cattolico

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La storia dell’ umanità è purtroppo costellata di immani tragedie, ma, grazie a Dio, anche di gesti eroici di cui sono stati protagonisti uomini che hanno dimostrato un coraggio e una nobiltà d’ animo fuori dal comune. Uno di questi è il console portoghese Aristides de Sousa Mendes, forse sconosciuto ai più e non celebrato così come avrebbe meritato. Gentiluomo cattolico di origini aristocratiche e non più tanto giovane, al momento dell’ invasione tedesca della Francia era console portoghese a Bordeaux. Nato nel 1885, fratello gemello del ministro degli esteri, Aristides Sousa e sua moglie Maria Angelina avevano 14 figli. Siamo nel giugno del 1940. A causa dell’ invasione nazista della Francia, a Bordeaux arrivarono da Parigi decine di migliaia di sfollati, di spie, di politici, di persone che cercavano disperatamente di abbandonare il Paese. Il dittatore portoghese Antonio de Oliveira Salazar divulgò un comunicato attraverso il quale sollecitava le rappresentanze consolari a impedire l’ accesso in Portogallo agli ebrei o ai dissidenti. Sousa Mendes ritenne il provvedimento in forte contrasto con i tradizionali valori del Portogallo, lui che era anche amico personale di un rabbino. Dopo aver riflettuto per due giorni convocò il personale del consolato e disse: “Non posso permettere che moriate. Molti di voi sono ebrei e la nostra costituzione afferma chiaramente che non si può rifiutare la residenza in Portogallo per motivi religiosi o politici. Come cristiano ho deciso di comportarmi secondo coscienza”. Il 17 giugno creò una piccola organizzazione che rilasciò 30.000 visti e documenti di viaggio. Di questi, ben 12.000 furono dati ad ebrei. Sousa Mendes salvò la vita anche a personaggi illustri come il principe ereditario austriaco Otto Von Habsburg, l’ attore di Hollywood Robert Montgomery e l’ intero governo belga. Non lontano dal console portoghese il generale De Gaulle stava combattendo la sua battaglia. Questi albergava all’ Hotel Splendid dove alloggiava anche il governo francese. Il generale De Gaulle successivamente si recò a Londra con un aereo della Raf mentre il maresciallo Petain firmava la resa costringendo la Francia ad una mortificante occupazione. Ma la disobbedienza di Sousa Mendes nei confronti del suo governo non passò inosservata. Il dittatore Salazar lo richiamò a Lisbona giudicandolo psicologicamente inadeguato a rappresentare il governo portoghese. “Non mi importa – affermò Sousa Mendes – Come cristiano posso agire solamente secondo coscienza”. Il console lusitano fu destituito dal suo incarico, privato dello status di diplomatico, della pensione e del diritto di praticare l’ avvocatura, sua originaria professione. In pratica fu dichiarata la sua “morte civile”. Solo un figlio non lasciò il Paese, a differenza di tutti gli altri che cercarono di rifarsi una vita altrove. Per 14 anni visse come un emarginato e si spense nel 1954, sei anni dopo Maria Angelina, in stato di assoluta povertà presso un monastero francescano. Su Facebook è nato un gruppo formato dalle famiglie messe in salvo da Sousa allo scopo di onorare la sua memoria. Molti di loro hanno avuto successo nella vita. Lissy Jarvik è un’ insegnante di psichiatria e scienze del comportamento alla facoltà di medicina dell’ Università di Los Angeles (Ucla). Nel 1940 aveva appena sedici anni: “I miei genitori, mia sorella 14enne ed io vivevamo ad Amsterdam”, rammenta. “Raggiungemmo Parigi, tentammo di imbarcarci a Calais, ma le navi, persino quelle olandesi, prendevano a bordo solo passeggeri di nazionalità britannica. Ci spingemmo fino a Biarritz. Avevamo quasi perso le speranze. Un giorno per fortuna un amico di mio padre ci disse che il governo portoghese concedeva visti di ingresso e ci consigliò di andare subito a Bayonne”. Sousa Mendes firmò il visto. “Salimmo su quello che sarebbe stato l’ ultimo treno che lasciava la Francia con dei rifugiati a bordo. Il treno era diretto a Figueira da Foz, dove i locali, che non avevano mai visto un ebreo, ci accolsero cordialmente. Rimasero sorpresi nel vedere che il nostro aspetto non era diverso da quello degli altri esseri umani”, afferma Lissy Jarvik. Ma è la sorella di Lissy, Sonja, a evidenziare ulteriormente l’ importanza di quel gesto per la sua famiglia: “Aristides de Sousa mi ha salvato la vita. Mi ha permesso di avere una famiglia nella quale ci sono persone che lavorano per il bene dell’ umanità. Il valore del suo sacrificio è enorme e si tramanda di generazione in generazione”. Hellen Kaufmann dirige l’ “Associazione Anonimi, Giusti e Perseguitati durante il Periodo Nazista”. L’ associazione possiede un’ importante banca dati e nello stesso ufficio dimora anche Manuel Diaz, presidente del “Comitato francese Aristides de Sousa Mendes”. Entrambi mirano a compilare un elenco comprendente tutti coloro ai quali fu salvata la vita quella estate. La Kaufmann ha l’ intima convinzione che il comportamento eroico di Sousa influì pesantemente nella ricostruzione dell’ Europa del dopoguerra in quanto permise di salvarsi a componenti del governo belga e polacco, alle famiglie reali del Lussemburgo e dell’ Austria e a personaggi politici importanti di ogni parte d’ Europa. “La cosa straordinaria – spiega Hellen – è che Sousa ignorava che ci sarebbe stato un olocausto e agì per intuizione”. Intorno alla metà degli anni ’80 Otto von Habsburg scrisse ad Antonio Moncada Sousa Mendes, uno dei 39 nipoti di Aristides, che insegna in Portogallo e fa parte della Fondazione Sousa Mendes. “Volevo esprimere per iscritto la mia eterna gratitudine a suo nonno. In un momento in cui molti uomini si comportarono da vigliacchi, lui è stato il vero eroe dell’ Occidente. Il mio sentimento è condiviso dalla Granduchessa Carlotta di Lussemburgo”. Istraele, nel 1966, assegnò a Sousa il titolo di “Giusto tra le nazioni”, riconoscimento attribuitogli per aver salvato tanti ebrei. Nel 1988 il parlamento portoghese lo riabilitò ufficialmente promuovendolo al rango di ambasciatore. C’ è da dire che nessuno dei tantissimi libri pubblicati in Francia sui fatti del 1940 cita il coraggioso console. Purtroppo come sostiene Hellen Kaufmann: “Ci sono molte famiglie che non sanno di dovergli la vita”. Il paesino di Cabanas de Variato è situato a novanta chilometri a sud-est di Porto. Qui si trova la villa della famiglia di Sousa Mendes che i bambini da tempo chiamano “villa dei misteri”. Dopo la morte di Aristide fu venduta per soddisfare i creditori. Il governo lusitano, nel 2001, l’ ha restituita alla famiglia a titolo di risarcimento insieme ad una somma in denaro investita per creare la fondazione. Il nipote Antonio, che ha ormai superato le 60 primavere, ricorda tuttora l’ allegra presenza del nonno nella casa di famiglia. “Avevo quattro anni e mezzo quando morì. Ricordo che gli piaceva ridere e fare scherzi”. Antonio, che da giovane era andato in Canada per non partire con l’ esercito in Angola, rientrando in Patria ha trovato un Paese ancora segnato dal regime di Salazar. “La casa è un disastro”, sostiene Antonio. “Il governo portoghese ha deciso di dichiararla monumento nazionale. Ma a parte gli onori, finora non ci hanno dato i fondi per restaurarla e trasformarla in museo”. La vita della Fondazione è stata intralciata da ostacoli burocratici. Comunque i lavori stanno per iniziare. L’ 80% dei costi sarà finanziato dallo Stato, il resto da donatori privati. Lissy Jarvik e Olivia Mattis hanno creato una sede americana della Fondazione e profondono un grande impegno. Il museo che si sta costruendo in Portogallo rappresenterà l’ unico luogo per ricordare la seconda guerra mondiale e per tenere sempre viva l’ importanza dei diritti umani. Sousa Mendes non si considerava né un eroe, né un perseguitato. “Non avrei potuto agire diversamente”, affermò in tarda età. “E quindi accetto con amore tutto quello che mi è capitato”. Queste ultime frasi e la vita tutta di questo straordinario uomo dovrebbero essere d’ esempio per tutti, soprattutto per chi si definisce cattolico, magari troppo spesso in maniera strumentale. Suscita ammirazione con quanto coraggio abbia saputo tener fede ai suoi valori, nonostante stesse provocando tanti problemi alla sua famiglia, con quanta forza abbia saputo resistere per salvare tante vite. Da uomo giusto, da cattolico vero. (Foto e immagini da Google.it)




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    Antonio Nicola Pezzuto - newcitizenpress.com - 22/12/2010


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