Problemi di scrittura, di calcolo, di ortografia in studenti dotati di i intelligenza e comprensione. Che se, non aiutati, possono vivere una vita scolastica faticosa. E frustrante. Quanti sono i dislessici nelle aule? Gli esperti parlano del 3-4% riferendosi però solo ai casi più seri. Quindi una percentuale che va molto ampliata. Migliaia di studenti con questi disturbi specifici dell’ apprendimento soffrono per l’inadeguatezza dei piani didattici. Da poco tempo esiste una legge nazionale (dell’ 8 ottobre 2010, n° 170), che affianca e supera quelle adottate dalle singole regioni e che richiede alle singole strutture scolastiche di attuare un piano didattico personalizzato che spesso però incontra ostacoli. Molto spesso si incappa in insegnanti che “non credono” nella dislessia, come se fosse una fede e non un dato scientifico, mentre la legge nazionale la riconosce come disturbo/sindrome specifico dell’ apprendimento; questo rende più complesso dare l’adeguato supporto ai ragazzi dislessici, spesso provocando problematicità anche psicologiche. Addirittura spesso delle scuole contestano anche le diagnosi di specialisti, non trattandosi di handicap, la dislessia viene spesso bistrattata ed anche se va contro la legge, alcuni presidi accettano arbitrariamente solamente certificati provenienti dalla sanità pubblica e non da quella privata, la prima purtroppo a volte è sprovvista di specialisti e le figure professionali in grado di garantire un esame efficace solitamente hanno liste d’ attesa lunghissime. Nella nuova normativa abbiamo però una cosiddetta parte attuativa che è di persè il punto focale sul quale si gioca la efficacia “vera” della Legge. L’obiettivo “vero” proposto, dietro il riconoscimento dei DSA, appare diverso, molto più ambizioso, ma non impossibile, quello di una revisione della modalità di “fare scuola”. E’ una “sfida ottimale” in quanto si rivolge ad una componente, come la scuola, che ha la possibilità e la potenzialità di fattibilità, confidando sulle competenze che le appartengono. Il ruolo finale della Legge è quello di dare un indirizzo per la didattica e per la relazionalità e prevedere opportuni momenti formativi. Alla scuola viene affidato un ruolo di protagonista, non solo nei riguardi della attuazione delle tutele per gli alunni con DSA, ma nel saper trasfondere le diverse strategie didattiche suggerite e utilizzate anche a favore degli altri alunni con l’obiettivo fondamentale e pragmatico della didattica: la “ricerca del miglioramento dell’efficacia ed efficienza dell’insegnamento per creare le condizioni di un efficace ed efficiente apprendimento nell’allievo con conseguente diminuzione del tempo di studio e del dispendio di energie”.. La sensibilizzazione alle problematiche di coloro che presentano DSA è stata difficile da portare avanti, in modo particolare nel mondo della scuola, ma, caparbiamente e costantemente sostenuta, ha trovato sempre più spazi di accoglimento fino a giungere a livello istituzionale in sede ministeriale giungendo a comprendere che i provvedimenti a tutela degli studenti dislessici potevano essere applicati in tutte le fasi del percorso scolastico, compresi i momenti di valutazione finale, precisando anche che fra questi venivano compresi anche l’esame conclusivo della scuola secondaria di primo e di secondo grado.