Dall’ inizio della rivoluzione dei ciclamini, i trafficanti di Zarzis (Tunisia) hanno incassato almeno 18-20 milioni di euro grazie al trasporto di disperati a Lampedusa. Una somma corrispondente al fatturato bimestrale di una media impresa europea, ma in Tunisia una somma in grado di sconvolgere il delicato equilibrio socio-economico, basato su una trentina di grandi alberghi per il turismo “tutto compreso”, il traffico di benzina con la Libia (ora bloccato), un po’ di pesca, un po’ di agricoltura e una serie di attività commerciali dallo scarso rendimento. Il “business clandestino” è nato grazie a una decina di pescatori-scafisti unitisi ad alcuni ragazzi con precedenti penali per reati minori. Un’ organizzazione elementare che la polizia avrebbe potuto stroncare sul nascere se solo avesse esercitato una minima parte dell’ ordinaria repressione esercitata nei 23 anni del regime di Ben Alì. Ci si chiede perché non lo fa. Qualcuno sospetta che i trafficanti abbiano corrotto le pattuglie della guardia costiera. Altri sostengono che siamo molto più avanti: vecchi pezzi di regime, con o senza divisa, si starebbero riciclando nella nuova mafia di Zarzis. È evidente come al vertice e ai piani intermedi dell’ organizzazione si siano inseriti personaggi di ben altro spessore. Forse criminali provenienti dalle grandi città (Sfax, forse anche Tunisi), ma anche vecchi immigrati rientrati per partecipare al grande business. Impressionante notare come nel giro di un mese e mezzo la “banda dei pescatori” è diventata un’ associazione criminale, o meglio, un cartello di cosche, che fa leva su 200-300 dipendenti fissi. La produttività e l’ efficienza sono aumentate con elevati tassi di crescita. Dal 14 gennaio, giorno della partenza del primo peschereccio, sono partite da Zarzis come minimo altre 100-150 imbarcazioni, con a bordo più di 15-18 mila ragazzi, ciascuno dei quali ha pagato, in media, tra i 1.300-1.500 euro. Queste cifre si ottengono confrontando i dati ufficiali degli sbarchi tunisini a Lampedusa, con le valutazioni informali dei comandi militari e delle capitanerie di porto di Jerba e Medenine e tenendo conto del fiuto dei vecchi pescatori (neutrali) di Zarzis. Venti milioni di euro nella Tunisia Meridionale garantirebbero benessere per un intero anno a 3.300 famiglie o 15mila cittadini. Certo, l’ organizzazione è cresciuta: intermediari, galoppini del servizio d’ ordine, trasportatori, marinai che hanno il compito di procurarsi barche lungo tutta la costa della Tunisia, perché quelle di Zarzis sono ormai insufficienti. Gli introiti di questo sporco traffico si stanno concentrando in pochi gruppi pericolosamente fuori controllo. A provare quanto appena scritto il fatto che i “soldati” dei clan sono, per ora, armati selvaggiamente alla meno peggio: coltelli, bastoni, machete, qualche vecchio fucile Steyr rubato all’ esercito nei convulsi giorni della rivoluzione. Ma, sappiamo bene, come tutte le mafie amano dotarsi di armi all’ avanguardia. Zarzis. Tunisia. Nasce una nuova impresa criminale che si alimenta dei sogni, delle speranze e del sangue di poveri innocenti. (Foto e immagini da Google.it)