Che il Messico fosse impegnato in una guerra tra cartelli dei narcos e lo Stato non è certamente una novità. Lo testimoniano le migliaia di morti, le centinaia di decapitati, quasi tutti civili inermi degli ultimi 12 mesi. Ma che i cartelli della droga che gestiscono anche i flussi migratori usassero i migranti rapiti prima di varcare il confine con gli Stati Uniti per organizzare lotte gladiatorie all’ultimo sangue in Colossei improvvisati nessuno poteva immaginare. Neanche la mente più fervida e creativa. Invece un reportage esclusivo pubblicato dal quotidiano statunitense “The Houston Cronicle” rivela che da almeno un anno è proprio questa l’ultima moda “perversa” de Los Zetas, uno dei cartelli della droga più crudeli e che si sta espandendo a macchia d’olio nei Paesi del centro America da cui provengono la maggior parte delle vittime-migranti, costrette a trasformarsi in gladiatori e a uccidere il loro avversario. Come nell’antica Roma i clandestini sequestrati e ridotti in schiavitù da Los Zetas, per sopravvivere almeno sino al prossimo incontro mortale, sono dunque costretti ad uccidere con mazze e coltelli l’avversario - magari ex amico di sventura migratoria. Il motto gladiatorio “Mors tua vita mea” si conferma dunque anche ai giorni nostri nel Messico feroce vicino al confine. La fonte del reportage del giornale texano autore dello scoop è un sicario de Los Zetas e, anche se la polizia messicana non conferma, la sua “denuncia” è ritenuta più che credibile dagli inquirenti. Quasi certa. Di migranti clandestini che dal Messico inseguono “il sogno americano” e finiscono ammazzati prima di riuscire a varcare il confine sono piene le cronache. Soprattutto da un anno a questa parte quando la polizia del nord del Messico ha iniziato a scoprire a cadenza settimanale fosse comuni piene di cadaveri, molti decapitati. Le vittime quasi tutti immigrati da Centro e Sudamerica: Honduras, Guatemala, El Salvador, ma anche Brasile, disperati in cerca di una vita migliore e che, invece del “sogno americano” entrano nell’incubo delle “fosas”. E della lotta in arene improvvisate. La prima maxi fossa è stata trovata nell’agosto del 2010, vicino a San Fernando, stato di Taupalimas. Una zona infernale in cui la fanno da padroni i “polleros” de Los Zetas, ossia le “guide” che in cambio di migliaia di dollari fanno attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti ai migranti, “i polli” in gergo. I “polleros” fanno parte dei cartelli della droga che il confine lo controllano quasi palmo a palmo. In primis Los Zetas. A loro come agnelli sacrificali si “consegnano” i “migrantes” provenienti dal Sud del Messico e dal resto dell’America latina che sognano un futuro negli Stati Uniti, paese in crisi ma che rappresenta pur sempre “il sogno” per i “disperati del confine”. Spesso però i soldi non bastano, i “polleros” violentano le donne, anche le ragazzine, e se qualcuno del gruppo si azzarda a protestare finisce in tragedia. Il massacro collettivo di San Fernando non era però spiegabile sino ad oggi. Con le rivelazioni del sicario, invece, il quadro pare chiaro. I migranti non sono più solo derubati dei loro soldi e le donne violentate, ma vengono addirittura usati come gladiatori dai “polleros” de Los Zetas. “Mors tua vita mea” e, ancora una volta, il Messico piange