Come è noto, è entrata in vigore in questi giorni, per decreto legge, la c.d. manovra finanziaria correttiva dei conti pubblici, che il Governo ha varato per perseguire un obiettivo più che giusto, ossia l’azzeramento del deficit pubblico entro il 2014. Ma se è giusto l’obiettivo ancora una volta non lo è la strada intrapresa per raggiungerlo: si tratta infatti dell’ennesima stangata che colpisce i risparmi dei cittadini, specie quelli di reddito medio-basso nonché, come al solito, i salari dei lavoratori dipendenti (specie quelli pubblici) e le pensioni. Niente di nuovo sotto il sole (estivo), è il caso di dirlo. Per quanto riguarda il pubblico impiego poi si è ormai arrivati davvero a raschiare il fondo del barile: si ricordi, tra l’altro, che il rinnovo dei contratti nazionali dei dipendenti pubblici è già bloccato fino al 2013. Bene, la nuova manovra vuole prorogare tale blocco, partendo dal presupposto che manchino le risorse e che mancheranno anche fra tre anni e per lo stesso motivo introduce il blocco del turnover. In un articolo pubblicato lo scorso 1 luglio sul quotidiano “Italia Oggi”, dal titolo “Lavoratori pubblici, no bancomat”, il segretario generale della CISL-Funzione Pubblica Giovanni Faverin espone una lucida, e ampiamente condivisibile, analisi storica della situazione del pubblico impiego in Italia e rivendica le proposte che il suo Sindacato ha già presentato da anni. Partendo dal presupposto che, come al solito, “si vanno a cercare le risorse dove è più facile trovarle”, Faverin ricorda che “nessun governo, centrale o locale, ha mai pensato ad un corretto accantonamento dei soldi per pagare i propri dipendenti. E che anche quando le vacche erano meno magre, le difficoltà di reperire i fondi hanno sempre mostrato tutto il deficit di responsabilità da parte delle classi dirigenti.” In altre parole egli si chiede, giustamente, come si possa sostenere che lo Stato debba comportarsi come un’azienda quando poi esso stesso non riesce ad accantonare le risorse per garantire l’efficienza dei propri servizi e quindi la sua produttività. Quale azienda si comporta in questo modo? “Tanti governi e nessuna terapia seria” conclude il sindacalista. Qual è la ricetta della CISL? “risparmi di gestione e contrattazione decentrata responsabile” sostiene Faverin. A suo parere “il concetto chiave è che senza contrattazione responsabile non c’è innovazione organizzativa, senza innovazione organizzativa non c’è razionalizzazione di spesa.”. Naturalmente egli parla di contrattazione decentrata, ossia sul luogo di lavoro: occorre potenziarla per poter eliminare sprechi e inefficienze, in quanto i singoli uffici riuscirebbero ad organizzarsi nel miglior modo possibile; essa deve però essere “responsabile” perché solo così si andrà verso quella razionalizzazione indispensabile per un pubblico impiego funzionante. Conseguenza evidente di questo ragionamento è che non ha senso bloccare i salari previsti dalla contrattazione nazionale perché questo non mette a posto i conti e non crea efficienza e produttività. Occorre, invece, intervenire “sui costi spropositati della politica, sui privilegi e le sinecure sui cui binari si muove la macchina delle clientele.”. E’ urgente una riforma strutturale della spesa pubblica non “una semplice operazione di maquillage”, aggiunge il segretario. Ci sono due possibilità per tenere in ordine i bilanci: guardare al passato, attraverso il blocco del turnover ed il blocco forzato dei salari, la scelta che ha fatto il Governo; “scelta miope” – egli sostiene – “che rende poco e danneggia lavoratori e cittadini…..senza progetto e senza visione per il futuro”. La seconda possibilità consiste nel “puntare sulla produttività e accorpare pezzi frammentati di settore pubblico.”. E come per le aziende private si parla di nanismo imprenditoriale così per il settore pubblico deve parlarsi di “nanismo istituzionale”, ossia di un numero troppo elevato di enti, cosa che produce sperperi ed inefficienze. Da qui le ulteriori proposte della CISL: creazione di una “Casa unica dei servizi”, un unico punto di riferimento nel territorio per il cittadino e le imprese che possa consentire anche la semplificazione degli adempimenti amministrativi e di una “Casa unica del welfare”, con lo stesso scopo in materia previdenziale e assistenziale; oltre all’accorpamento degli enti, esigenza considerata prioritaria. In definitiva occorre “una nuova stagione, che unisca le forze su obiettivi comuni e condivisi. Ma con più partecipazione dei lavoratori per riorganizzare gli uffici e far costare meno i servizi al cittadino.”.
Un’analisi, questa, che fotografa in modo perfetto, ed anche impietoso, la situazione del pubblico impiego attuale, un settore completamente abbandonato a se stesso (si ricordi che i salari dei pubblici dipendenti italiani sono, in media, i più bassi d’Europa), ma anche gravida di proposte concrete. Ma queste ultime, di grande buon senso, resteranno il libro dei sogni se non ci sarà la volontà politica di attuarle e se quindi non cambierà il modo di guardare ai pubblici dipendenti, oggi considerati, a torto, un costo e non una risorsa. Foto da Google.it