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Febbraio 2024 - Anno XVII - Numero 1 - Venerdì 19 Aprile 2024
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BELLA NAPOLI E LA DIGNITA’ DEL LAVORO

Al di là di ogni luogo comune

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  “Napule è ‘na carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a ciorta”, cantava il grande Pino Daniele. Oggi, con una città sommersa (speriamo ancora per poco) dall’immondizia, è facile ripensare a queste parole e al loro significato, inteso anche in senso lato. Una città (e in genere un Sud) piena solo di gente fatalista, indolente, menefreghista e senza voglia di lavorare. Intendiamoci, non è che queste persone non ci siano ma, come sempre succede quando si parla del Sud, e di Napoli in particolare, si fa spesso fatica, da parte di molti, ad uscire dallo stereotipo e dal luogo comune trito e ritrito.

Ma stereotipi e luoghi comuni sono fatti per essere sfatati ed in tal senso un interessante ed appassionato contributo è stato di recente fornito da Vincenzo Moretti, direttore della sezione “Società, culture e innovazione” della Fondazione Giuseppe Di Vittorio e docente di Sociologia dell’Organizzazione all’Università di Salerno. In “Bella Napoli. Storie di lavoro, di passione e di rispetto.” (ediz. Ediesse 2011) egli racconta le storie emblematiche di dodici napoletani: di chi al mattino “non si veste da supereroe ma da artigiano, insegnante, operaio, scienziato, barista, perito chimico e così via.”

Infatti “dove li mettiamo quelli che si sono aggrappati con le unghie, con la speranza e con i denti alla possibilità di non chinare il capo, di non arrendersi alle inefficienze, al pressapochismo, al clientelismo, agli ismi senza fine che hanno ammorbato la città?”. Costoro, appunto, vogliono essere persone normali, si sentono persone normali che per non arrendersi vogliono fare cose normali: lavorare, e bene, anzitutto; fare le cose per bene attraverso l’esaltazione di valori quali dedizione, impegno, voglia di imparare, cura della forma (che spesso è anche sostanza). Capire quanto sia importante fare la gavetta per poter poi apprezzare fino in fondo ciò che sì è ottenuto, il risultato cui si è arrivati; che nella vita tutto può servire, anche imparare a fare delle cose, dei lavori, che poi non si faranno più.

C’è l’insegnante liceale che va a lavorare al Nord per poter avere un incarico annuale e che deve confrontarsi con una realtà completamente diversa ma non si lamenta, è aperta a nuove esperienze e, superata l’iniziale diffidenza dei ragazzi e dei loro genitori, riesce a trasmettere il suo bagaglio di cultura, umanità e passione per il suo lavoro: ha infatti la soddisfazione di sentirsi dire da alcuni ragazzi di aver capito la realtà del Sud, ed essersi ricreduti, grazie a lei e agli altri insegnanti meridionali.Sebbene poi concluda amaramente che nel nostro Paese chi lavora e studia non è valorizzato; un Paese che “non ha una visione di se stesso in termini di crescita”, parole di terribile verità.

C’è poi l’ingegnere elettronico che fa esperienze di lavoro all’estero e ad altissimi livelli, apprendendo diverse metodologie del lavoro di equipe, basate sull’importanza da dare al gruppo e sulla necessità che tutti i suoi componenti siano pienamente coinvolti nel progetto per sentirsi motivati. O ancora, la ragazza che lavora in un call center e deve confrontarsi col dramma della precarietà ma si sforza di far bene il suo lavoro nonostante viva in un difficile contesto ambientale e familiare. L’operaio manutentore che rimpiange la solidarietà che si respirava in fabbrica una volta e che oggi non esiste più, perché è l’azienda stessa che fa di tutto per dividere i lavoratori. La sociologa, che però fa la grafica e web designer per necessità, che sostiene l’importanza, nel lavoro, di essere onesti, tolleranti, corretti, capaci di sorridere e di ascoltare. Il ragazzo dei Quartieri Spagnoli, dove “ ‘o presepio è bello ma i pastori non sono buoni”, che, pur crescendo in una realtà terribile, riesce a costruirsi un futuro dignitoso e sostiene che se è vero che è anche il contesto in cui vive che influenza la crescita di una persona è anche vero che se quel contesto è negativo e tale rimane, ciò accade perché non c’è la volontà politica di cambiare le cose. Il ferroviere che sottolinea l’importanza dell’approccio al lavoro e nota che è cambiata, in modo epocale e in peggio, la concezione dei fruitori del servizio, non più considerati utenti ma clienti.

Il chimico che ritiene fondamentale la precisione nel lavoro e imparare dai più bravi. L’insegnante che critica le metodologie di insegnamento attuali, in base a cui la scuola è percepita come una sorta di laboratorio e non come occasione di sviluppo culturale. L’ingegnere del Vomero, che da ragazzo capisce che molti suoi amici, pur svolgendo attività illecite, gli rimangono tali e quindi evitano di rapinarlo o sparargli quando lo incontrano e lo riconoscono o, in un’altra occasione, gli fanno subito ritrovare l’auto rubata. Comportamenti considerati normali nel quartiere. Egli andrà poi a lavorare in Giappone, Germania e al Cern di Ginevra. Infine, il restauratore, che da tempo cerca di risolvere un problema tecnico che lo assilla, ossia come fare aderire una lamina sottilissima di oro fino su una superficie.

Con l’occasione l’Autore ha modo di esaltare il valore della c.d. serendipity, termine di derivazione anglosassone che si riferisce, in generale, a quelle situazioni in cui si è in cerca di una cosa e se ne trova un’altra; si applica quindi anche alle scoperte, frutto non solo del genio ma, a volte, anche del caso; e proprio l’incontro di menti preparate può creare le condizioni perché essa si verifichi. Ecco cos’è Napoli, o cosa è anche Napoli, sembra voler dire Moretti. Ma egli, nelle intenzioni, vuole andare oltre: non vuole semplicemente affermare che la città “non è solo Gomorra, camorra e monnezza” perché pensare questo deve essere ovvio, banale, scontato per le persone intelligenti. Gli interessa invece trasmettere la consapevolezza che “cambiare è possibile, che dipende dai cittadini e dalle classi dirigenti, dalla cultura, dalle scelte, dall’impegno e dalla responsabilità degli uni e delle altre.” E ci riesce molto bene. Come direbbe ancora Pino Daniele “Napule è tutto nu’ suonno e a’ sape tutt o munno ma nun sanno a verità”. Foto da Google.it




News letta: 1373 volte.
    Fabio Giudice - newcitizenpress.com - 04/06/2011


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