«A che serve vivere, se non c’ è il coraggio di lottare?». Parole di Giuseppe Fava, scrittore, giornalista e drammaturgo italiano, oltre che saggista e sceneggiatore. È stato ucciso il 5 gennaio 1984 e per quel delitto sono stati condannati alcuni esponenti del clan mafioso dei Santapaola. Pippo Fava, così veniva chiamato, era soprattutto un giornalista molto coraggioso e carismatico, apprezzato dai suoi collaboratori per la professionalità e il suo stile di vita semplice. Direttore responsabile del “Giornale del sud” e fondatore de “I siciliani” è stato il secondo intellettuale ad essere ucciso da Cosa Nostra dopo Giuseppe Impastato. Pippo Fava fece del “Giornale del Sud” un quotidiano coraggioso. Memorabile l’ articolo da lui pubblicato l’ 11 ottobre 1981 dal titolo “Lo spirito di un giornale”, nel quale illustrava le linee guida che faceva seguire alla sua redazione: basarsi sulla verità per «realizzare giustizia e difendere la libertà». In quel periodo denunciò le attività di Cosa Nostra, attiva nel capoluogo etneo soprattutto nel traffico della droga. Riuscì anche a salvarsi da un attentato che gli era stato organizzato con una bomba contenente un chilo di tritolo. Ma Fava aveva toccato troppi interessi, pestato i piedi a molti intoccabili che riuscirono ad ottenere il suo licenziamento. Rimasto senza lavoro non si diede per vinto, e con l’ aiuto dei suoi collaboratori fondò una cooperativa, “Radar”, per poter finanziare un nuovo progetto editoriale. Senza soldi, ma con tante idee, il gruppo riuscì a pubblicare il primo numero della rivista nel novembre 1982, un mensile che venne chiamato “I Siciliani”. Le inchieste pubblicate dalla rivista destarono molto clamore, soprattutto negli ambienti politici e giornalistici. Da ricordare gli attacchi alla presenza delle basi missilistiche in Sicilia, la denuncia senza sosta della presenza della mafia, le piccole storie di ordinaria delinquenza. Ma l’ articolo più importante, probabilmente, è il primo firmato da Fava, dal titolo “I quattro cavalieri dell’ apocalisse mafiosa”. Un’ inchiesta-denuncia sulle attività illecite di quattro imprenditori catanesi, Carmelo Costanzo, Gaetano Graci (agrigentino di nascita), Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, e di altri personaggi del calibro di Michele Sindona. Fava, con il coraggio che lo caratterizzava, collega i cavalieri del lavoro con il clan del boss Nitto Santapaola. L’ anno dopo, Rendo, Salvo Andò e Graci tentarono di impossessarsi del giornale per poterlo controllare, ottenendo solo dinieghi. “I Siciliani” restò una testata indipendente che continuò a pubblicare le foto di Santapaola con politici, imprenditori e questori. Immagini note alle forze di polizia ma non utilizzate contro i collusi. Il 28 dicembre 1983 rilascia la sua ultima intervista a Enzo Biagi nella trasmissione “Filmstory”, andata in onda su Rai Uno, proprio sette giorni prima del suo assassinio. Forte e pesante come un macigno questo passaggio: «Mi rendo conto che c’ è un’ enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante…». Alle ore 22 del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava fu freddato da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca mentre era a bordo della sua Renault 5. Si trovava in Via dello Stadio e stava andando a prendere la nipote che recitava in “Pensaci, Giacomino!” al Teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Il funerale si tenne nella piccola chiesa di Santa Maria della Guardia in Ognina alla presenza di poche persone, soprattutto giovani ed operai. Inizialmente l’ omicidio venne etichettato come delitto passionale, sia dalla stampa che dalla polizia. Un’ altra ipotesi avanzata era il movente economico, per le difficoltà in cui versava il suo giornale. Solo nel 2003 Pippo Fava ha avuto giustizia grazie alla sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato all’ ergastolo Santapaola ed Ercolano, rispettivamente come mandante ed organizzatore dell’ omicidio, e a sette anni patteggiati, Avola, come esecutore. «Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo». Parole di Pippo Fava che ogni giornalista ha il dovere morale di portare sempre nel proprio cuore e nella propria testa. (Foto e immagini da Google.it)