Elaborata negli anni ’50 da Gregory Bateson, illustre psichiatra ed antropologo, e sviluppata dalla scuola di Palo Alto, ipotizza che tra due o più individui legati da vincoli emotivamente rilevanti, si presenti una discrepanza comunicativa tra livello esplicito (ciò che viene detto) e metacomunicativo para o extralinguistico. L’individuo, vittima sacrificabile o membro sintomatico, si trova nell’impossibilità di scegliere fra due suggerimenti contraddittori, andando in stallo. Tale empasse diventa più grave poiché, essendoci i vincoli affettivi (ad esempio un rapporto madre-figlio), il sottoposto non riesce ad evidenziare al superiore l’incongruità paradossale. Tali considerazioni vennero da Bateson introdotte per fornire una delle possibili interpretazioni delle cause della schizofrenia, specialmente in quei soggetti predisposti o border line. Traendo spunto dal pensiero cibernetico che comprende lo studio di autoregolazione, autoriproduzione, adattamento, elaborazione ed immagazzinamento dell’informazione e i comportamenti finalizzati, Bateson e la scuola di Palo Alto diedero una nuova visione al disagio psichico per alcune persone. Infatti, in determinate situazioni, occorreva non limitarsi all’osservazione del soggetto, ma ad estenderla a quella dell’intero insieme. Alcune famiglie patologiche ancora oggi devono essere valutate come una totalità, piuttosto che un agglomerato di individui; se i componenti formanti il gruppo sono deboli, per sopravvivere devono affidarsi a regole rigide e chiuse che escludano ogni capacità di cambiamento, che viene sottilmente boicottato sacrificandone l’innovatore o relegandolo alla sua periferia. Ogni tentativo di rinnovamento induce dunque una retroazione negativa atta a preservare il gruppo famiglia nel concetto di sistema omeostatico. Spesso succede in terapia di osservare come il figlio somatizzi i disagi della coppia dei genitori e ne diventi quasi il termometro; se la madre, inconsciamente, vede nel figlio un antagonista, un intruso nel rapporto di coppia, potrà usare affettività a parole mentre rifiuta contemporaneamente un abbraccio dal figlio, creando così la contraddizione; se invece lo vede con l’occhio della donna e non della madre, a parole lo tratterà come un figlio, lanciandogli contemporaneamente dei messaggi non verbali seduttivi. In entrambe le situazioni si acuiranno i disturbi che hanno portato il figlio dal terapeuta accompagnato dai genitori preoccupati del sintomo. Egli si fa carico, attraverso la manifestazione dei sintomi, di distogliere i membri della famiglia dall'affrontare in modo manifesto le proprie difficoltà di relazione, accentrando l'attenzione su di sé. Il sintomo ha quindi una doppia valenza: segnala alla famiglia l'esistenza di un disagio e, nello stesso tempo, rende innocuo il suo potere distruttivo, accentrando su di sé tutte le preoccupazioni degli altri membri. Pertanto: 1) devono esserci due o più persone, nelle quali si distinguono la “vittima designata” (il figlio in genere) ed il “legante” (normalmente la madre); 2) l’esperienza si reitera nel tempo; 3) c’è una contraddizione nelle modalità di comunicazione verbale ed analogica; 4) c’è un “comando” implicito nella comunicazione che impedisce alla “vittima” di abbandonare il campo (“in fondo è tua mamma che te lo chiede, tu non vuoi vero contristare tua mamma?”); e) quando tutti gli elementi vengono sperimentati per un po’ di tempo diventano automaticamente uno schema di “doppio legame” consolidato. Nessuno dei due membri è consciamente responsabile del proprio comportamento, il tutto è circolare (teoria della circolarità reciproca) e non viene ricercata una causa e un effetto. La terapia familiare interviene attraverso varie tecniche di lavoro sulle famiglie, operando su almeno quattro livelli principali di osservazione, cioè la storia trigenerazionale della famiglia (nonni-genitori-figli); l'organizzazione della relazione e della comunicazione attuale della famiglia; la funzione del sintomo del singolo individuo nell'equilibrio della famiglia; la fase del ciclo vitale della famiglia in cui si presenta il sintomo del singolo (ciclo vitale: rappresenta una tappa delle varie fasi evolutive attraversate da un sistema-famiglia; si parla, ad esempio dell'uscita da casa dei figli a seguito del matrimonio, del decesso di un genitore o della nascita di un figlio, etc.; questi eventi costringono il sistema a riorganizzarsi, e quindi ad evolvere verso nuovi assetti relazionali). Le tecniche terapeutiche, attraverso l'utilizzo di “compiti casa” , dopo averne sperimentato il percorso con il terapeuta, si articolano intorno alle problematiche del chiarimento dei ruoli (marito, moglie, padre, madre, figli), della gerarchia nell’ambito dell’insieme famiglia, delle inevitabili o terapeuticamente provocate alleanze, e della qualità della comunicazione, sempre fondamentale in qualsivoglia relazione. (foto ed immagini da google)