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Febbraio 2024 - Anno XVII - Numero 1 - Venerdì 19 Aprile 2024
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Il Potere Delle Parole

“Le parole hanno il potere”

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Così affermano i Capacas (saggi) nell’antico linguaggio degli Aymara (il popolo dei tempi remoti pre-incaico nei territori intorno al lago Titicaca), lo Jaqui Aru (linguaggio universale), ed i loro sacerdoti, gli Yatiris. Per capirci qualcosa in questo esordio nebuloso, occorre precisare chi siano gli Aymara, naturalmente. Essi sono una popolazione che vive prevalentemente nelle vicinanze del Lago Titicaca tra Perù, Bolivia, il nord del Cile e il nordest dell'Argentina. In realtà non identifica un sotto-gruppo etnico vero e proprio, ma comprende l'insieme degli individui che, pur appartenendo a differenti sotto-gruppi etnici, hanno come lingua madre una lingua appartenente alla famiglia aymara. Il linguaggio Aymara è anche conosciuto come linguaggio universale ed ha radici molto, molto antiche. Ricorda il linguaggio biblico universale prima della torre di Babele, il cui mito rammenta come gli uomini che cercavano di raggiungere il cielo con la costruzione della torre, vennero confutati e confusi da Dio stesso che, assegnando nuovi linguaggi alle persone, fece in modo che esse non potessero più comprendersi. Come detto esso appartiene alle popolazioni pre-incaiche e dunque anteriori alla presenza dei più conosciuti Incas che regnarono dal XIII al XVI secolo. Quando quel popolo si affacciò sulle rive del lago Titicaca, apprese un nuovo linguaggio come Garcilaso Inca de la Vega assicura nella sua opera “Commentarios Reales”: gli Inca parlavano tra di loro un idioma segreto sconosciuto al resto del popolo. Egli attribuisce a questa informazione una certezza assoluta, asserendo di averla ricevuta da uno dei suoi parenti Inca, di nobile lignaggio, tuttavia rileva che questa lingua era ormai perduta quando egli scriveva e non cita neppure una parola a supporto delle sue affermazioni. Bernabé Cobo ritorna sull’argomento nella sua “Historia del Nuevo Mundo” e conferma quanto detto da Garcilaso. Il gesuita sostiene di aver ricevuto informazioni in proposito dal suo informatore indigeno che cita per nome. Si tratta di Alonso Topa Atau, un nipote dell'antico sovrano Huayna Capac che gli avrebbe permesso l’accesso alle tradizioni più riservate dell’antica stirpe decaduta. Cobo ha approfondito con il suo interlocutore i particolari della questione e dichiara di aver appreso che gli Inca consideravano questo linguaggio particolare il residuo di quello che parlavano nel luogo natio della loro stirpe. Si tratta della valle di Tampu, la stessa in cui è ubicato il sacro luogo di origine della dinastia, secondo i miti riferiti alla nascita dell’eroe primordiale Manco Capac. Cobo, conferma che al suo tempo la lingua in questione non era più in uso, ma dice che ne sussistevano alcuni vocaboli anche se non cita nessuna di queste parole. Una ulteriore affermazione in proposito ci perviene da un altro osservatore spagnolo ancora più antico, Rodrigo Cantos de Andrada, che nella sua “Relación de la Villa Rica de Oropesa y minas de Guancavelica” del 1586, descrive la medesima attitudine degli Inca a usare tra loro un linguaggio “segreto”, affermando che l’uso di questo idioma era severamente vietato agli altri sudditi. In mancanza di dati precisi gli studiosi di linguistica hanno elaborato diverse teorie basate sull’interpretazione di alcuni nomi di luoghi o propri di sovrani che sfuggivano ad una classificazione tradizionale e che potevano essere riferiti al linguaggio segreto degli Inca. Gli esperti si sono divisi circa la loro attribuzione al quechua o all’aymara ma le loro teorie sono rimaste tali senza raggiungere una certezza assoluta. Recentemente, la scoperta dell’opera completa di Juan de Betanzos ha permesso di recepire un breve cantare attribuito al linguaggio particolare degli Inca. Tra gli studiosi che si sono cimentati nella sua interpretazione, Ian Szeminski ha optato per una derivazione principalmente aymarà del testo con inclusioni di altre lingue quechua e puquina. Alfredo Torero ha invece escluso il puquina di cui, tra l’altro, è un dotto investigatore. Rodolfo Cerrón-Palomino, invece, nel suo saggio “El cantar de Inca Yupanqui y la lengua secreta de los incas” ha messo in evidenza come la base del linguaggio segreto degli Inca fosse proprio il puquina. Egli è giunto a questa conclusione, con prove irrefutabili, usando non solo le sue profonde conoscenze linguistiche, ma anche le sue esperienze di studi storici sugli Inca. Dalla sua ricostruzione emerge che gli Inca erano originari di una zona prospiciente al lago Titicaca in cui si parlava il puquina, successivamente scomparso. Abbandonata la regione si sarebbero stanziati nei pressi del Cuzco dove dominava la lingua aymarà per poi imporre a tutti i loro sudditi il quechua come lingua imperante sull’altopiano andino. Il loro linguaggio segreto sarebbe stato un arcaico puquina, dimenticato col tempo da tutti e preservato solo all’interno dell’élite.(continua)




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    Antonello Musso - newcitizenpress.com - 10/04/2012


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