L’euforia dei giorni scorsi si e’ trasformata in lacrime, l’entusiasmo ha lasciato il posto alla consapevolezza che la strada da percorrere per gli azzurri e’ ancora lunga. Chi scrive si chiedeva se nei giorni scorsi non si esagerava a pensare che il campionato europeo fosse alla nostra portata, vedendo automobili che sventolavano i tricolori a 24 ore dalla finalissima, sorprendendosi per gli acquisti anticipati di bandiere e trombette da stadio (fortunatamente abbiamo dimenticato le odiose vuvuzuelas del mondiale sudafricano), un paese intero si preparava a celebrare la vittoria. Ma dove e’ finita la proverbiale scaramanzia del popolo italiano? I riti pre-partita, il silenzio che precede la grande sfida, molto simile al silenzio imposto prima delle elezioni, momento di riflessione e concentrazione. Che fine ha fatto quel basso profilo che ci permetteva di festeggiare e godere di piú e meglio degli altri? Troppo facile lasciarsi andare, d’altronde avevamo fatto fuori una dietro l’altra due grandi d’Europa quali Inghilterra e Germania, la favorita della vigilia. Avevamo mostrato un gioco spumeggiante ed offensivo, come da tempo non si vedeva dalle nostre parti, mentre i nostri rivali avevano sofferto, e non poco, di fronte al modesto Portogallo di Cristiano Ronaldo, riuscendo fortunosamente a raggiungere la finale grazie ad un rigore calciato in maniera maldestra da Fabregas . Una semifinale, quella tra Portogallo e Spagna che aveva palesato i limiti fisici dei campioni del mondo, una squadra in calo, alla fine di un ciclo, già messa in difficoltà nel girone eliminatorio dagli azzurri e che aveva commesso l’errore di comportarsi da squadra vera non cedendo alla tentazione del “biscotto”. Prima del mach, ci siamo dimenticati di dare un’occhiata alle statistiche: le furie rosse sono un rullo compressore, hanno vinto le ultime due grandi competizioni a livello internazionale, europei e mondiali. “E’ finito un ciclo, ora tocca a noi” si sentiva dire fino al gol di David Silva al 14mo del primo tempo, ore 21 del 1 luglio. Penso che solo pochi anni or sono mi trovavo, come tanti italiani che vivono in Spagna, a dover spiegare agli spagnoli come vincere una grande competizione. Basso profilo, rispetto per l’avversario, una buona dose di scaramanzia oltre che una squadra forte. “Vincete solo le amichevoli, quando la partita conta vi sciogliete come neve al sole”. Oggi non e’ piu’ cosi, la lezione l’hanno data loro a noi. Lezione di calcio e forse di sportività, sempre che il gazpacho del dottor Fuentes non gli sia indigesto.(foto e immagini da google.it)