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Febbraio 2024 - Anno XVII - Numero 1 - Venerdì 19 Aprile 2024
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Una comune chiave di lettura fra Oliver Cromwell, Nicolae Ceausescu, Benito Mussolini

L'Ascolto

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Oliver Cromwell fu un condottiero ed un uomo politico inglese della prima metà del ‘600; eletto membro del parlamento nel 1628/29, conquistò un largo consenso con le sue idee, rivoluzionarie per l’epoca, che propugnavano una maggior democrazia e l’estensione del voto a tutti gli uomini. Mantenne fede al suo impegno anche rinnovando l’esercito, non tanto dal punto di vista tecnologico ma da quello organizzativo: i comandanti, che all’epoca venivano scelti in base al gentilizio nobile, lo saranno ora per meritocrazia, cioè per doti tecniche e per il valore in battaglia dopo veri e propri plebisciti fra i soldati. Tutto ciò, oltre ad una forte motivazione nei combattimenti, originò una sincera ammirazione da parte dei suoi soldati che si trasformò in vera devozione vittoria dopo vittoria. Fervente protestante e puritano, era fermamente convinto che la salvezza eterna fosse alla portata di tutti coloro che si conformavano agli insegnamenti biblici ed ai dettami della propria coscienza; fu per questo feroce oppositore del cattolicesimo da lui visto come tirannide teocratica per il primato del Papa; seguace del provvidenzialismo, egli riteneva che Dio si occupasse delle cose terrene attraverso alcuni suoi “eletti” ed interpretò le vittorie da lui ottenute come segno dell’approvazione divina così come le sconfitte come errori di cui fare ammenda. Quando nel 1640 il re fu costretto a convocare il parlamento per una nuova richiesta di tasse, egli si oppose fermamente chiedendo che molte decisioni anche in materia economica fossero autorizzate dal parlamento. All’ennesimo rifiuto di Carlo I, scatenò la prima guerra civile che si concluse con l’arresto del sovrano e con la sua esecuzione al termine della seconda, scoppiata nel 1648. Nel 1649 venne abolita la monarchia e si instaurò il Commonwealth d’Inghilterra che fu, a tutti gli effetti una dittatura militare, non essendo ancora maturi i tempi per una democrazia radicale e neppure per una repubblica parlamentare stabile basata su un’oligarchia. Col tempo il concetto di “uomo della Provvidenza” prese il sopravvento sull’equilibrio e la saggezza di comando ed il suo governare sfociò in un assolutismo di fatto quando si fece incoronare “Lord Protettore”. La sua morte a 59 anni ed il fatto stesso di non essere riuscito a dar luogo ad una transizione democratica, ricostituì la monarchia assoluta con l’avvento di Carlo II due anni dopo e la sua “Damnatio Memorie” con la decapitazione postuma della sua salma. Nicolae Ceausescu nacque da una famiglia contadina di umili origini nel 1918, fu segretario generale del partito comunista rumeno nel 1965 e divenne a tutti gli effetti dittatore o conducator come usava definirsi, dal 1967 fino alla sua morte avvenuta tragicamente nel 1989. Il consenso popolare interno ed occidentale iniziò e si accrebbe grazie al suo rifiuto della sovranità limitata imposta dall’Unione Sovietica che considerata la Romania come una sorta di colonia da sfruttare e nel 1968 quando rifiutò il suo esercito all’azione di invasione della Cecoslovacchia, dichiarando pubblicamente che l’intervento di uno stato membro del patto di Varsavia contro un altro stato membro era da considerarsi assai pericoloso per la pace e la stabilità in Europa. Ciò valse per la Romania uno status privilegiato con i partner europei per le relazioni industriali e di commercio e fu considerata una diga interna all’U.R.S.S In realtà Ceausescu rifiutò qualsiasi liberalizzazione, ma restò fedele al percorso stalinista tracciato dal suo predecessore Gheorghiu-Dei; in quest’ottica istituì un programma di sistematizzazione del paese a partire dalle campagne verso le città che portò a indubbi benefici sul piano organizzativo, ma non tenne conto delle tradizioni e della cultura delle persone oltre che della profonda fede ortodossa: il malcontento iniziò ed aumentò soprattutto con l’opera di demolizione delle chiese di antichi palazzi, con l’accorpamento forzato dei contadini in città-villaggi e la messa in comune di latifondi nati con l’espropriazione. La situazione peggiorò quando, con l’intento di aumentare la forza lavoro, mise al bando qualsiasi forma di contraccezione ed aborto in favore delle nascite e delle famiglie numerose: un’economia fragile e controllata come quella rumena non poteva sopportare un’ulteriore aumento di bocche da sfamare e questo incrementò la povertà e gli abbandoni minorili in quel fenomeno che venne poi chiamato “i bambini di strada”. Il contagio del culto della personalità colpì e peggiorò Ceausescu nel ciclo di viaggi nel ”altro comunismo”, quello cinese, vietnamita, nordcoreano, comportando un ulteriore riduzione del dissenso interno con vere e proprie “sparizioni” e soppressioni di coloro che avversavano nella popolazione il suo operato: fu il momento dei delatori a pagamento con la paranoia del sospetto e la loro infiltrazione in città, villaggi, condomini. La povertà divenne insostenibile quando il paese si ritrovò a dover restituire debiti esteri per valori superiori ai 13 miliardi di dollari: iniziarono a mancare i generi di prima necessità con lunghe file di persone davanti a negozi ormai privi di merci. Di fronte a questa bancarotta nazionale stupisce l’atteggiamento sempre più avulso dalla realtà del dittatore ormai prigioniero della sua stessa propaganda autoincensante. Perduto il sostegno di tutti, morì fucilato dopo un sommario processo cantando l’Internazionale. Benito Mussolini assurse al potere con il consenso dell’opinione pubblica insoddisfatta delle deboli classi dirigenti liberali di allora per via dei trattati di pace ritenuti da tutti assai sfavorevoli soprattutto in rapporto all’alto costo in vite e sacrifici economici sostenuti dall’Italia nella guerra del ’15-’18; il bisogno di un governo forte, di ordine e di pace sociale oltre al timore di instabilità dovuta al governo del biennio “rosso”, diedero fiducia a Mussolini spingendolo verso posizioni estreme che culminarono con la marcia su Roma e con il successivo discorso del bivacco tenuto in parlamento il 16 novembre, con il quale sancì la presa del potere mantenuto per il ventennio successivo. Esso venne attuato soprattutto in virtù della capacità dello statista di interpretare correttamente la volontà ed i bisogni del popolo italiano con importanti interventi di tipo sociale, legislativo, sanitario, previdenziale, economico e culturale facendo leva sull’orgoglio nazionale. E’ giusto sottolineare come la politica di potenza fosse vista con favore dalla maggior parte della popolazione in tutti gli strati sociali, intellettuali compresi e venne vista con favore anche all’estero fino all’entrata in guerra con la Germania. Churchill lo definì nel 1933 “il più grande legislatore vivente” ed “un grande uomo” nel 1940; anche PioXI lo definì nel 1929 “l’uomo della Provvidenza”. Ma forse il giudizio più equilibrato si trova nelle parole scritte da Ghandi a Romain Rolland: ” Mussolini è un enigma per me. Molte delle riforme che ha fatto mi attirano. Sembra aver fatto molto per gli Italiani. In verità, il guanto di ferro c'è. Ma poiché la forza (la violenza) è la base della società occidentale, le riforme di Mussolini sono degne di uno studio imparziale. La sua attenzione per i poveri, la sua opposizione alla superurbanizzazione, il suo sforzo per attuare una coordinazione tra il capitale e il lavoro, mi sembrano richiedere un'attenzione speciale. [...] Il mio dubbio fondamentale riguarda il fatto che queste riforme sono attuate mediante la costrizione. Ma accade anche nelle istituzioni democratiche. Ciò che mi colpisce è che, dietro l'implacabilità di Mussolini, c'è il disegno di servire il proprio popolo. Anche dietro i suoi discorsi enfatici c'è un nocciolo di sincerità e di amore appassionato per il suo popolo. Mi sembra anche che la massa degli italiani ami il governo di ferro di Mussolini”. Quando però vennero perse di vista le persone in favore di una grandezza patria assoluta, che coincise con la rovinosa entrata in guerra, il consenso popolare crollò fino ai suoi eventi tragici. Di lui Enzo Biagi scrisse: ”Mussolini è stato un gigante; considero la sua carriera politica un capolavoro. Se non si fosse avventurato nella guerra al fianco di Hitler, sarebbe morto osannato nel suo letto. Il popolo italiano era soddisfatto di essere governato da lui: un consenso sincero”. Senza voler dunque scrivere un trattato sui tre personaggi, direi che il denominatore comune è stato inizialmente una attento ascolto dei bisogni del popolo ed un innegabile sforzo verso le persone, con l’ausilio di una ferrea volontà dettata dalla provonda convinzione di essere gli inviati della provvidenza per il miglioramento della collettività; il limite possono essere stati i mezzi assoluti utilizzati per conseguirli; il fallimento potrebbe essere dovuto come attributo a scelte sbagliate, ma come causa efficiente alla progressiva chiusura verso le persone ed un eccessivo orientamento verso il bene presunto assoluto, nato e germogliato nelle loro coscienze e progressivamente più avulso dai bisogni reali delle persone. Il punto di non ritorno quando essi smisero di ascoltare ed iniziarono ad ascoltarsi. (foto ed immagini da google)




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    Antonello Musso - newcitizenpress.com - 18/01/2013


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