I contratti pre-matrimoniali in vista di un futuro divorzio, diffusissimi nei Paesi anglosassoni, sono sempre stati visti con sfavore dal nostro ordinamento giuridico: la giurisprudenza ha sempre ritenuto nulli tali accordi perché la nostra legge ritiene l’assegno di divorzio un diritto di cui non si può disporre, pertanto ogni eventuale accordo preventivo di tale tipo sarebbe come una sorta di “sanzione dissuasiva” volta a condizionare la libertà degli sposi di decidere circa lo scioglimento del matrimonio e dei connessi aspetti patrimoniali. La Cassazione però, con la sentenza n. 23713 del 21 dicembre 2012, sembra però aprire la strada a nuove prospettive: diventa possibile per i coniugi regolare in anticipo, in caso di separazione o divorzio, alcuni aspetti patrimoniali come ad esempio la cessione di immobili. Qual è dunque la sostanziale differenza che renderebbe tale tipo di accordo valido mentre gli altri resterebbero nulli? La risposta è semplice: nella situazione prospettata la separazione o il divorzio non rappresentano la “causa genetica” dell’accordo stesso, ma vengono in rilievo solo come semplici eventi “temporali”, come una sorta di condizione sospensiva che fa scattare l’efficacia dell’accordo. In pratica la sentenza menzionata mira a conferire validità ai contratti firmati dai due coniugi prima del matrimonio o in vista della separazione qualora non siano volti a regolare, per il futuro, l’intero assetto patrimoniale degli stessi (come nel caso in cui determinino l’ammontare dell’assegno) e qualora non vadano a ripercuotersi sulla separazione come una sorta di “penale” per il “recesso anticipato” dal matrimonio. Tali accordi, nei suddetti limiti, possono pertanto essere efficaci solo se mirano semplicemente a regolare una prestazione ed una controprestazione, tra loro collegate (come potrebbe essere una vendita), dove la separazione o il divorzio integrano solo gli estremi di una “condizione temporale” che fa scattare il diritto alle prestazioni e controprestazioni medesime.