12 gennaio 2015 – Ce la ricorderemo questa domenica di gennaio. Eravamo tutti lì, a Parigi, a ricordare la parola più bella: libertà: cristiani, atei, ebrei e musulmani a gridare "Viva la libertà". E sono morti musulmani, atei, ebrei, cristiani. Vittime di integralisti islamici in cui non si riconoscono le grandi religioni. I processi che attraversano le maggiori religioni monoteiste del globo si assomigliano e sono in buona parte la spinta di ciò che chiamiamo secolarizzazione. Una parola piena di significati che vanno della “laicità” dello Stato alla riduzione di Dio e della nostra fede ad uno dei tanti possibili stili di vita da adottare, quasi fosse una scelta estetica. Le differenze tra i paesi di tradizione cristiana (con le dovute differenze già tra i paesi cattolici, protestanti e ortodossi) e tra i paesi di tradizione islamica sono moltissime. Molti studiosi di teologia osservano che mentre il cristianesimo possiede al suo interno dei principi che muovono in direzione della secolarizzazione, che può essere interpretata positivamente, anche dal punto di vista teologico, perché comporta una maggiore responsabilizzazione dell'uomo di fronte al mondo e mette a fuoco il valore della coscienza; nei paesi islamici, il processo di secolarizzazione, muove dalla necessità di una presa di distanza tra politica e religione. Il “Centre de Prévention contre les dérives sectaires liées à 'l'Islam” ha pubblicato uno studio in cui risulta che l'80% dei giovani coinvolti nell'estremismo islamico proviene da famiglie atee: una percentuale molto significativa anche per la Francia, paese laico, dove gli atei sono il 35%. I dati significano, quindi, che vi sia la fondata possibilità che l'estremismo attecchisca non per una profonda fede ma, peggio, nel disorientamento e nella fragilità causata dalla mancanza di legami spirituali significativi. E’ questa la grande sfida per le nostre civiltà occidentali.