“Azzurro”, “Nel blu dipinto di blu”, “’O sole mio”, sono monumenti della canzone italiana conosciute in tutto il mondo. Ma c’è anche “’O bella ciao”. Non una canzone melodica da fischiettare per le scale o sotto la doccia ma una canzone che da emblema della protesta sociale delle mondine delle risaie del nord Italia divenne nel periodo della Liberazione e della Resistenza il canto dei Partigiani. Nel tempo, da inno alla resistenza e alla libertà dell'italianità, è diventato un saluto ormai internazionale e di grande carattere adatto ad un numero di circostanze più ampio. La fortuna del testo deriva dal fatto che non vi sono riferimenti alla guerra di classe o alla guerra civile come, ad esempio, nell’altro canto dei partigiani “Fischia il vento”, dove invece, è esplicito il riferimento alla “bandiera rossa” che trionferà. Questa caratteristica della canzone ha reso “’O bella ciao” esportabile già dagli anni quaranta quando fu cantata con grande successo da giovani delegati italiani al “festival mondiale della gioventù democratica” in alcune capitali europee. Fu utilizzata, ancora, durante le proteste operaie e studentesche del Sessantotto. La prima registrazione fu di Gaber che la incise in un 45 giri nel 1965. Da allora, ogni qualvolta un evento minacci la libertà in ogni sua forma, tornano spontanee le facili parole di “O bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao ciao” come alla grande manifestazione di Parigi, nel gennaio scorso, dopo gli attentati dei terroristi islamici. Ironia del lessico, “ciao” è un termine di origine veneta, s'ciavo, che vuol dire schiavo, a sua volta dal latino sclavus col medesimo significato.