Parola d’ordine: cancellare qualsiasi traccia del passato, tutto ciò che risale a prima della nascita dello Stato islamico e che possa tramandarsi ai posteri. I militanti del nuovo Stato Islamico hanno deciso di estirpare le radici dai territori conquistati attraverso un sistematico saccheggiamento e una continua distruzione dei patrimoni archeologici dal valore inestimabile. L’Iraq, dove nacque la scrittura, l’architettura urbana, la legge e fu la culla della civiltà, oggi, soprattutto a nord del paese, è in preda alla barbarie dei miliziani dell’ISIS che hanno già distrutto o danneggiato, attorno a Mosul, numerosi siti archeologici. Le mura dell’antica cittadella di Tal Afar, il sito di Ninive, Nimrud, testimoni dell’antico impero assiro sono stati compromessi dal passaggio dei veicoli pesanti. I bassorilievi che rappresentavano le scene di caccia e di guerra e le sue statue colossali che raffiguravano il “lamassù”, creatura mitologica metà uomo e metà leone o toro, sono stati distrutti completamente. Per finire con Hatra, con i templi di età ellenistica e romana e Dur Sharrukin. L’Unesco sta prendendo misure preventive e il direttore generale Bokova dopo aver dichiarato crimini di guerra le distruzioni dell’ISIS sta cercando di anticipare le mosse e prevenire ulteriori perdite: nel nord della Siria i curatori di musei si stanno adoperando per coprire preziosi mosaici con sigillante e sacchi di sabbia. Le stesse precauzioni sono state prese anche nel museo nazionale di Baghdad che ha recentemente riaperto le sue porte dopo il saccheggiamento (di circa 15mila reperti) di 12 anni fa da parte le truppe statunitensi. La scelta di riaprire è stata in risposta alla distruzione di statue e artefatti custoditi nel museo di Mosul. Una mossa coraggiosa che si contrappone alla delirante volontà del Califfato di cancellare le tracce millenarie che gli uomini hanno lasciato su quelle terre, perché cedere al terrore e rinunciare al proprio passato significherebbe prima di tutto rinunciare al futuro del Paese. Un’ultima considerazione riguarda l’altra faccia della medaglia dell’ISIS: la distruzione di questi resti archeologici non è solo la barbarie dovuta alla nuova fede ma nasconde un retroscena che poco ha a che fare con la religione ed è il mercato nero di opere d’arte. L’ISIS costa in stipendi corrisposti ai combattenti, in armi, munizioni, veicoli, informatica. Spregiudicati collezionisti facoltosi sono pronti a pagare oro per inestimabili pezzi di storia dell’umanità, ben sapendo che i loro soldi si trasformeranno ancora in morte e distruzione.