La caccia all’enorme mammifero è iniziata già nel medioevo dai popoli che abitavano sulle rive dell’atlantico. I più esperti nella caccia però erano i baschi: davanti a loro si estendeva il grande golfo di Biscaglia dove transitava e sostava la “eubalaena glacialis”, una piccola balena lenta nei movimenti e docile e per questo facile preda anche da parte di imbarcazioni primitive. Lo spesso strato di grasso delle balene rende impossibile la caccia usando le frecce per cui gli eschimesi della groenlandia, usavano intingere arpioni, frecce e fiocine in un veleno estratto dall’aconito. Tra i popoli che non abitavano sulle rive dell’atlantico i Giapponesi furono il popolo che si dedicò più attivamente alla caccia alla balena. Nei primi decenni del secolo XVIII minuscoli villaggi di pescatori divennero dei porti balenieri e si andò formando una popolazione di marinai e avventurieri attirati dal miraggio di guadagni facili. Fu chiaro in breve che ad arricchirsi furono gli armatori e i capitani delle navi mentre la paga del marinaio non era di certo altissima per cui si andò presto formando una figura chiamata “squalo”, un procacciatore di marinai per conto del capitano. Lo squalo, lusingava, prometteva e ricattava anche per riuscire a formare gli equipaggi richiesti. La vita all’interno di una nave baleniera era molto dura e improntata nella ricerca e la lavorazione del prodotto per cui lo spazio per i marinai era ridotto all’essenziale e, inoltre la paga non era altissima senza contare che lungo periodo che in trascorreva in mare senza vedere terra. I marinai alloggiavano nel castello di prua ossia una grossa cabina triangolare gremita di letti a castello dove la ciurma mangiava, dormiva e trascorreva i turni di riposo. Il capitano e gli ufficiali avevano invece delle comode cabine. Della balena non si butta via niente. La parte più ricercata è quella definita “ambra grigia”, sostanza resinosa, solubili in etere che si usa per la fabbricazione di profumi.