L'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa di amore, capace al massimo di difendersi quando è attaccata, altruista, fatta per vivere con il proprio simile nella pace e nella solidarietà, ma è originariamente un essere – per la tragedia greca l'essere più "stupendo" e più "tremendo" (deinon) – che porta con sé una crudeltà e una capacità criminogena che spaventerebbero anche gli animali più feroci, un'ostilità primaria verso i suoi simili che non ha paragoni. Queste parole si possono leggere direttamente da Freud, il padre della psicanalisi. La società e il mondo evolvono nel loro insieme, ma l’uomo conserva sempre un animo ancestrale, una parte antica indissolubile, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma da dove si origina l’odio ingiustificato? Come si sviluppa dentro di noi il pensiero che l’altro è sbagliato ed è causa dei nostri mali e che quindi va punito? Una mente molto sviluppata porta progressi, ma può portare anche pensieri insani, oscuri, che recano insoddisfazione e risentimento e che spesso, per via del loro peso insopportabile sull’animo, vengono portati fuori e proiettati sull’altro per essere tollerati più facilmente. Così, con questo stratagemma della nostra stessa mente avremo l’impressione che sia l’altro la causa dei nostri mali e ci sentiremo in diritto di porre fine alla sua felicità, nella speranza di raggiungere la nostra.
Ciò che inevitabilmente si ottiene come risposta alla violenza è altra violenza; quando qualcuno attua comportamenti vili verso di noi, soprattutto se ingiustificati, la prima azione inconscia che saremo portati a fare sarà la difesa è quasi sempre di conseguenza l’attacco, in qualsiasi sua forma o la vendetta. Quasi mai il meccanismo indotto inconsciamente è quello di porgere l’altra guancia o il perdono incondizionato, di fronte a grosse ingiustizie e violenze gratuite. Nonostante l’arma più forte per porre fine a questo ciclo continuo di violenza sarebbe, probabilmente, quella di troncare il circolo vizioso della vendetta e perdonare, redimere l’aggressore, è dura non giudicare chi ha compiuto la violenza, farla “passare liscia” a chi ha compiuto il gesto indicibile; ci si chiede: “Perché chi ha fatto questa atrocità dovrebbe poter continuare a vivere come se niente fosse?”.
Il risentimento dovrebbe essere un prezzo abbastanza caro da pagare, ma questo viene provato solo quando si ha realmente consapevolezza dell’errore compiuto, del male del proprio gesto, ma non sempre il meccanismo è così semplice. Molte violenze vengono ancora perpetrate perché considerate “necessarie” o addirittura “giuste” (la storia non ce lo insegna forse?) Allora dove sta il confine? Dov’è quella linea sottile che ci divide dall’essere vittime o carnefici? Chi ha il diritto di essere redento e chi no?
Sono domande alle quali forse non si troverà mai risposta; i peccati dell’uomo sono tali solo se giudicati peccaminosi, ma da chi? Adesso (e da sempre) dal più forte, da chi aveva più visibilità nella società, da chi aveva il potere di farsi ascoltare, ma non sempre chi ha questo potere ne ha anche il diritto e buone intenzioni. Rimaniamo quindi imprigionati in un circolo vizioso sudicio, dove chi giudica i peccatori è peccatore a sua volta. Non si torna forse così al tema del perdono come unico mezzo per porre fine a tutto questo? E di conseguenza non sorge un’altra volta il problema di chi ha il diritto di essere perdonato e del “chi ci dice che, una volta perdonato, il violento non ripeterà il suo gesto?” Ci sono così tante variabili che sembra impossibile trovare una soluzione efficace. Ma mentre tentiamo di capire cosa sia obiettivamente giusto e cosa sbagliato, fuori la violenza continua a regnare sovrana e ad agire, imprescindibile, inarrestabile, proprio come un virus che cambia sempre la sua forma e si insinua silenziosa dentro di noi per portare avanti la sua opera.