Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, cronica e progressiva ed è la causa più frequente di demenza in età avanzata. Nello specifico, questa sindrome porta ad un graduale annichilimento delle cellule cerebrali, determinando un deterioramento delle funzioni cognitive, fino ad arrivare a compromettere l'indipendenza della persona. Infatti, oltre alla perdita della memoria, si presentano altri disturbi associativi, come quello del linguaggio o afasia, disorientamento spaziale e temporale, confusione, astenia e alterazioni della personalità. Questa malattia prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer, il quale fu il primo a descriverne sintomi e caratteristiche nel 1900. Secondo diversi studi effettuati, a favorire la comparsa di questa malattia giocano un ruolo fondamentale i fattori genetici, ambientali e stile di vita. Tuttavia, secondo uno studio condotto dall’Istituto Nazionale Francese per la Ricerca su Salute e Medicina (INSERM), l’Università di Lille, l’Istituto Pasteur e l’Ospedale di Lille, a cui hanno partecipato anche moltissimi atenei e centri di ricerca italiani – tra i quali le università di Firenze, Milano, Milano-Bicocca, Bari, Perugia, Torino, IRCCS Fondazione Santa Lucia e il Policlinico Gemelli – sono state riconosciute 75 regioni del DNA esposte al rischio di Alzheimer, 42 delle quali non erano mai state affiliate alla malattia. La ricerca è stata condotta analizzando il DNA di oltre 11mila persone malate e oltre 677mila persone sane. Questa scoperta porterà necessariamente alla ricerca di nuove terapie, portando ad un avanzamento fondamentale per la massima comprensione della malattia, per la quale, attualmente non esiste ancora una cura.